fragola
Ricordo la prima volta che ho desiderato e sperato un bacio. Gabriele, non particolarmente bello secondo l’idea comune; pomo d’Adamo pronunciato, occhiali, capelli scuri ricci quasi sempre coperti da un cappellino da baseball e alcuni tic all’occhio e alle mani che ne tradivano la natura sensibile e schiva. Avevo tredici anni circa e lui qualcuno di più. Ci vedevamo spesso con altri ragazzini, i pomeriggi, si scherzava e ci si guardava di nascosto. Lui sapeva forse, intuiva, ma la riservatezza era più forte del coraggio. Poteva essere un bellissimo bacio, la notte che abbiamo dormito nel rifugio in una gita improvvisata lungo un tratto del sentiero numero uno. Fingevo di dormire e mi giravo verso di lui allungando la mano sul suo materasso. Lui fingeva di dormire e con delicatezza la sua mano accarezzava i miei capelli. Rimasi sospesa nell’attesa, immobile per non sgretolare con anche solo il respiro qualcosa di magico, attimi che sono durati ore sperando e cercando la forza di renderli qualcosa di altro e non solo speranza. Ma l’attesa, la ritrosia, la stanchezza e l’indecisione hanno vinto entrambi. Quanti pensieri ricamati su queste piccole cose, quanta tenerezza mi fanno provare per la ragazzina che ero.
Il primo bacio invece è stato in estate, in vacanza. Terme di Saturnia, la parte a libero accesso. Lui della provincia di Varese, credo si chiamasse Simone ma non ne sono più tanto certa. Alto, capelli chiari, grandi rosee labbra che si sono poi rivelate soffici, morbide, accoglienti, per il primo timido scambio d’intimità di ambedue. Molto romantico per me che romantica non mi ritengo, eravamo dietro la cascata. E quando si ha un primo bacio così è difficile scendere di aspettative. Impacciati, emozionati, lenti e dolci, con la paura arrivasse qualcuno a distruggere una bolla solo nostra. Ricordo le sensazioni, ricordo lo stomaco che si stringeva, ricordo le gocce di acqua che si mischiavano al sapore della pelle. La sua voce non la ricordo, ma i suoi occhi liquidi che mi parlavano in silenzio sì. E io che il giorno successivo sono ripartita portandomi sulle labbra l’impronta delle sue, come una leggera scottatura che per giorni è rimasta appesa alla mia bocca. Non l’ho raccontato a nessuno rientrata dalle vacanze, non sono mai stata una persona avvezza alle confidenze perché certe sensazioni se si raccontano le si sgonfia d’intensità. E così quel rumore assordante nelle orecchie dato dal fragore della cascata e dal batticuore che mi scoppiava dietro ai timpani è rimasto solo per me, una specie di febbre che si concentrava sui bordi della labbra quando chiudevo gli occhi e ricordavo il tocco gentile sulla pelle.
I ricordi sono fatti di immagini, di mani che sfiorano, di odori, di sapori in bocca, che forse non sono più veritieri dopo tanti anni ma sono squisiti da riassaporare.